Riversa in uno stato di totale abbandono eppure incanta e cattura l’attenzione di chiunque si trovi, anche solo di passaggio, nei suoi dintorni. È il Castello di Maddaloni che da un’altura domina sull’intera area circostante ed è visibile da ogni angolo della città in tutto il suo fascino quasi spettrale.
La sua storia
L’edificio, situato a circa 170 metri sul livello del mare, è di origine normanna, sebbene abbia una connotazione più remota. Infatti, Tito Livio, nel raccontare i fatti annibalici, cita un castrum come presidio fortificato dell’antica Calatia. Presumibilmente lo storico romano si riferiva proprio al Castello di Maddaloni. Un esplicito riferimento alla sua esistenza lo si trova solo in un regesto del 1099 citato come “Castrum Kalato Maddala”. Fu in epoca normanna che il borgo acquistò sempre più importanza e il castello fu adibito a luogo di incontri.
Si susseguirono col tempo diversi proprietari che apportarono alla struttura vari restauri e rifacimenti. Nel 1390, il conte di Sant’Agata dei Goti, Carlo Artus d’Angiò, divenuto feudatario di Maddaloni, decise di rafforzare il borgo. Pertanto fece costruire la torre cilindrica, tutt’oggi visibile, che venne denominata torre Artus. Da questo momento il castello visse un lungo periodo di splendore fino al 1445. In quest’anno la struttura fu riscattata da uno dei protagonisti della congiura dei baroni, Pietro da Mondrago, il quale fu scacciato dalla città da Ferrante d’Aragona che mise a ferro e fuoco il castello.
Nel 1475 il re Alfonso d’Aragona concesse la città ai Carafa. Questi decisero di costruire un nuovo palazzo facendo, inevitabilmente, perdere d’importanza la vecchia fortezza che fu abbandonata fino al 1821. In quest’anno la famiglia De Sio acquistò il castello trasformandolo in una dimora per incontri e battute di caccia.
Partendo dal Borgo Antico
Sebbene oggi sia chiuso al pubblico, diversi sono i modi per raggiungere il Castello. Io scelgo sempre quello che parte dal Borgo Antico dei Formali. Una zona di Maddaloni “vecchia”, lontana dai ritmi nevrotici della città in cui si respira un’aria pulita, diversa. Queste viuzze strette e incuneate ricordano scenari medievali. Ti catapultano in un’altra era e predispongono al cammino chiunque decida di raggiungere quest’affascinante struttura.
Dritti al Castello
Dopo poche centinaia di metri lo scenario diventa via via più ampio. Il panorama abbraccia tutta la zona di Terra di Lavoro e, nei giorni senza foschia, in lontananza sullo sfondo, primeggia il Vesuvio.
Un sentiero a mala pena tracciato ed immerso quasi totalmente nella vegetazione ci permette di raggiungere, se pur con qualche fatica, il castello. Questo, con le sue due torri, visto da vicino appare estremamente suggestivo e ammaliante. Si riescono ancora a distinguere le stanze, i piani superiori e il cortile. Gli affreschi sui soffitti, seppur deteriorati, sono tutt’oggi visibili. Affacciati alla finestra della sala più grande si ha l’impressione di avere tutto lo scenario casertano sotto controllo.
Da una fugace chiacchiera con qualche abitante del luogo apprendo che il castello, nel corso degli anni, è stato anche scenario di episodi avvolti da mistero e oscurità. Difatti si racconta che fino agli anni ’90 venivano praticati riti e sacrifici. D’altronde c’era da aspettarselo vista la struttura che potrebbe tranquillamente essere set di un film horror o di fantascienza.
Purtroppo l’apertura di diverse cave di ghiaia, visibili se si raggiunge la seconda torre posta più in alto, ha deturpato e deteriorato l’intera area circostante. Nonostante ciò ci troviamo in un posto in cui i segni del tempo che scorre inesorabilmente, sono visibili. Qui è la natura a predominare e si sta impossessando di questo magnifico edificio che resta un luogo di grande fascino nonché di importante rilievo storico-culturale che andrebbe protetto, valorizzato e rispettato.
Per le foto si ringrazia Luigi Desiato.