Cos’è l’amore? Cos’è che ci fa innamorare? La bellezza che ci attrae istintivamente a sé? L’animo accogliente o la mente pronta? O forse ci attrae la capacità di quest’animo di raccontarsi e mostrarci la propria accoglienza? Cos’è la parola? Un accessorio o uno strumento fondamentale? Magari lo specchio di chi la usa? Insomma di chi è innamorata Rossana? Di Cristiano o di Cyrano? Tutte queste domande hanno riempito la platea del Teatro Izzo giovedì 11 maggio 2017.
Il Cyrano di Raffaele
Il pubblico osservava rapito l’adattamento di Raffaele Patti del Cyrano De Bergerac di Edmond Rostand. Lo stesso Patti, marcianisano, ha interpretato Cyrano. Lo ha interpretato con la maestria di chi il personaggio lo ha osservato, lo ha studiato, lo ha fatto suo e poi lo ha contaminato. Raffaele ha calcato il palcoscenico con la sicurezza di chi è entrato nella storia a tal punto da lasciarvi traccia. Di certo un fantastico Cyrano il suo, ma Rossana e Cristiano hanno seguito le sue impronte alla perfezione. Si sono così create geometrie dall’equilibrio perfetto, imponendo le loro piccole presenze come fossero giganti. «Siete riusciti a riempire tutto il palco in tre», ha detto uno spettatore ai nostri Raffaele, Teresa Perretta e Gabriele Russo.
La magia di fotografia e scenografia
Ed infatti tre soli erano gli attori, accompagnati da una scenografia scarna quanto d’impatto. Gli elementi scenografici realizzati in legno da Raffaele Patti, Pietro Messina e Luca Laurenza, immersi nella fotografia di Gaetano Montebuglio, hanno creato lo spettacolo nello spettacolo. Ci si è trovati davanti ad opere d’arte nell’opera d’arte. Gli occhi hanno assistito a momenti scenici così ben orchestrati da apparire come immagini a sé stanti, seppur ben immerse nel contesto. Le scene assumevano l’aspetto di quadri dalle pennellate morbide, o di fotografie dalla luce malinconica. Teresa è stata abilissima nel passare dalla frivolezza dell’innamoramento alla profondità dei sentimenti. Gabriele ha reso con precisone Cristiano, il narratore e Montfleury.
Rispetto a quest’ultimo Patti ci ha detto: «Il suo personaggio serve a raccontare il quarto elemento dello spettacolo che è il teatro stesso. Cyrano interviene sulla scena, da un’indicazione su quella che è la sua missione: riportare il senso dell’esistenza alla autenticità. L’atto simbolico del prendere l’occhio di bue è quasi un dominio sul teatro, un prendere possesso anche dell’aspetto materiale. L’occhio di bue, volutamente un artificio teatrale, è paritetico al suo naso e alla sua spada». Prima che il sipario si alzasse la compagnia ha dedicato lo spettacolo alla memoria di Totò. «Totò perché ogni mio spettacolo è dedicato alla memoria di un maestro del teatro», ha spiegato Patti. «Quest’anno cade il cinquantesimo anniversario dalla sua morte e per noi è, come per altri che provano a fare questo lavoro, un’ispirazione, un faro di memoria, dedizione e passione».