È notizia risaputa che per la costruzione del Palazzo Reale casertano venne impiegato un numero sconfinato di uomini e di maestranze. Notizia meno nota è quella che riporta la presenza di oltre quattrocento schiavi musulmani ed un centinaio di galeotti nel cantiere della Reggia di Caserta. E i protagonisti del nostro racconto saranno proprio loro, sfruttati e illusi con false promesse e continuamente derubati dagli ufficiali.
Tratta degli schiavi dai turchi di Costantinopoli
La presenza di schiavi e servi provenienti da paesi esotici risale alla seconda metà del XVI secolo a Napoli. La registrazione del battesimo di due schiavi musulmani convertiti al cristianesimo che si trovavano nel Palazzo Medici di Ottajano, avvenuta durante il secolo successivo, è ancora oggi custodita nella Chiesa di San Michele Arcangelo. Nel Settecento, inoltre, i regnanti napoletani e i turchi di Costantinopoli stipularono un trattato che sanciva importanti rapporti commerciali. Negli accordi vi era anche una poco onorevole tratta di schiavi. Quattrocento di questi schiavi musulmani, assieme ad un centinaio di galeotti, furono coinvolti nel cantiere della Reggia di Caserta.
Ovviamente a loro toccarono i compiti più faticosi e pericolosi durante i lavori. Una testimonianza di questo sfruttamento è fornita dall’astronomo francese Joseph-Jérôme Lefrançois de Lalande. Costui, infatti, visitò i cantieri nel 1765, tredici anni dopo la posa della prima pietra. Ignorando gli accordi del 1740, egli scrisse che alcuni di questi schiavi erano stati catturati sulle coste tunisine dalla flotta napoletana, mentre altri erano stati venduti al Re dai mercanti ebrei. La verità è che molti di questi schiavi arrivavano, come detto, da Costantinopoli nemmeno troppo controvoglia. Veniva infatti promessa loro la libertà e la cittadinanza napoletana in caso di conversione e di un matrimonio con una donna locale. Questo, in realtà era soltanto un inganno, poiché costoro non avevano alcuna possibilità né di avere un contatto con gli abitanti di Caserta né di poter costituire una famiglia con la paga a dir poco misera che percepivano.
Sfruttati, maltrattati e derubati
Come se tutto ciò non bastasse, gli schiavi musulmani alla Reggia di Caserta subirono anche ruberie e maltrattamenti da parte degli ufficiali del re. Da alcuni documenti, infatti, si evince che il capo delle guardie Sebastiano La Rosa e il suo superiore La Rocca, compivano continui ladrocini ai danni dei malcapitati schiavi. I due, infatti, rubavano fondi destinati al sostentamento e ai beni di prima necessità dei prigionieri, oltre ad incassare tangenti dagli osti che ambivano a gestire il monopolio della vendita del vino nei cantieri. Gli schiavi e i galeotti, così, erano costretti a spendere parte della loro misera paga presso i venditori che si erano precedentemente accordati con La Rosa. La pena per i disobbedienti era un carico massiccio di frustate.
Un galeotto e uno schiavo (Giuseppe Ceprano e il libico Scialabi) pensarono bene di allearsi con il capitano, per poter evitare un tale trattamento. La loro sfortuna fu che la notizia di questi soprusi arrivò all’orecchio dell’inflessibile Bernardo Tanucci, ministro del Regno. Costui degradò il capitano, lo rinchiuse per cinque anni a Castelnuovo, dopo averlo costretto a restituire il maltolto. A Ceprano e Scialabi non andò meglio. Il primo morì poco dopo in cella, mentre il secondo scontò cinque anni di carcere duro.